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Usciamo dalla gabbia della matematica funebre

by rainwiz. Average Reading Time: about 15 minutes.

Dopo il mio post su come la Rai ci disinforma su Gaza, ho ricevuto una lettera molto accorata. Mi ha scritto un'amica che ha una parte della sua famiglia in Israele.
Le ho chiesto di poter pubblicare le sue parole e la mia risposta. Ha detto di si, e la ringrazio tanto per questo.

Ciao Raffaele, sul fatto che i media siano di parte con me sfondi una porta aperta. Ho lavorato abbastanza a lungo in un giornale per sviluppare un sano e profondo scetticismo nei confronti delle notizie che sono selezionate (in genere, più tragiche e cruente sono e meglio è) e di come sono presentate. Tuttavia, se il TG1 “difende” Israele, ti assicuro che molti altri media prendono una posizione di parte a favore dei Palestinesi e addirittura di un’organizzazione terroristica quale Hamas. In questi giorni gli articoli de Il Fatto Quotidiano sull’ultimo conflitto israelo-palestinese riportavano una frase del tipo “…il conflitto innescato dall’uccisione del capo militare di Hamas Ahmed al Jabari”.

Anche questa è un’imprecisione, se non una bugia! Il conflitto è stato innescato dai razzi che per mesi Hamas ha tirato su città come Ashkelon e Ber Sheva (non insediamenti nei territori contesi, ma città ben dentro i confini di Israele). Israele non sarà lo stato più pacifico del mondo, ma è di gran lunga lo stato più democratico del Medio Oriente. E’ un paese grande quanto la Toscana, circondato da stati arabi che per la maggior parte sono regimi dittatoriali e che, più o meno veementemente, ne minacciano l’esistenza. Il problema, a mio avviso, non è che i media sono di parte, perché esistono sia media pro-israeliani, sia media anti-israeliani. In psicologia esiste un fenomeno chiamato “confirmation bias”. Numerosi esperimenti hanno dimostrato che quando le persone devono prendere una decisione o formarsi un’opinione su un argomento ricercano le informazioni che confermano le loro posizioni iniziali e scontano le notizie che vanno contro le loro convinzioni personali. Questo significa che se sono pro-palestinese quello che dice il TG1 non mi tange, perché’ mi ritrovo perfettamente in quello che scrive Il Fatto Quotidiano. Quindi il problema non sono le notizie che i media riportano, ma la lente con cui le leggiamo.

La questione israelo-palestinese negli ultimi 50-60 anni è stata fortemente ideologizzata e politicizzata. E il tuo post, sebbene più moderato, mi ha ricordato i tipici post dei blogger di sinistra cui seguono commenti del tipo “Israele ed ebrei di merda”, “Israele non ha diritto di esistere”, “Israele è uno stato terrorista”, o proposte ridicole del tipo “boicottiamo i pompelmi Jaffa” (per coerenza, allora, bisognerebbe boicottare anche tutte le apparecchiature mediche di invenzione israeliana, tra cui la PillCam per l’endoscopia e i sistemi di diagnostica per immagini e laser chirurgici di ultima generazione). Poiché io sono di sinistra ma anche ebrea e per metà israeliana, questi post (e i commenti che generano) per me sono delle pugnalate al cuore. A questa gente che sostiene che Israele sia il cancro del Medio Oriente mi verrebbe da chiedere: Supponiamo, per assurdo, che domani Israele si ritiri dalla regione e che compri delle terre in New Mexico; secondo voi nel Medio Oriente smetterebbero di scannarsi? In Siria, dall’inizio della rivoluzione (Marzo 2011) sono morte quasi 40.000 persone. E quanti sono morti nella guerra tra Iran e Iraq? E in Afghanistan, sotto i Talebani? E in Tunisia, Algeria, Egitto, durante la recente primavera araba? E vogliamo parlare della Libia di Gheddafi? Se hai tempo, Raffaele, leggiti questo articolo sui palestinesi in Siria. Non se la passano molto meglio che a Gaza, anche se vivono in un paese arabo.

Da occidentale mi sono sempre chiesta come mai gli unici aiuti che i paesi arabi davano ai palestinesi fossero le armi. Purtroppo credo che i governi dei paesi arabi siano in totale cattiva fede nei confronti dei palestinesi. Organizzazioni terroristiche quali Hamas o i bracci militari di Al Fatah non hanno a cuore l’interesse dei palestinesi che vivono in condizioni disumane e sotto la soglia di povertà per gli standard occidentali. C’è anzi un interesse a mantenere fame e ignoranza, perché così può fare maggior presa il fanatismo religioso e nazionalista. Quando ho visitato i territori palestinesi, nel lontano 1999, sono rimasta piacevolmente stupita dalla bellezza di Gerico. Non sono stata a Gaza, ma a Gerico ho visto ville con giardini curatissimi, bei negozi, e strade ben tenute come in Israele. Durante quella visita mi sono chiesta: come è possibile che i Palestinesi di Gerico non dividano quello che hanno con i Palestinesi di Gaza? E come mai i media identificano la Palestina con Gaza e non ci fanno vedere Gerico? Sai, al tempo ero naïve e avevo una visione troppo ottimistica dei giornalisti…

Mio padre è cresciuto in una città al confine con il Libano e alcuni tra i suoi migliori amici d’infanzia erano arabi israeliani, cristiani o musulmani. Io sono stata educata nella convinzione che arabi e israeliani avessero pari diritti, ma non posso tollerare atti terroristici come quelli di lanciare razzi contro obiettivi civili al solo scopo di minacciare o rendere impossibile la vita di questi ultimi. Tu mi dirai che anche Israele colpisce obiettivi civili e questo ovviamente è terribile. Ma l’obiettivo reale di Israele sono i depositi di armi e gli avamposti delle milizie terroriste, non i civili! Sono passati diversi anni e molti forse hanno dimenticato il periodo delle bombe palestinesi nei bus e nei ristoranti. Anche in Israele sono morti centinaia di bambini, perché c’erano dei kamikaze palestinesi che s’imbottivano di tritolo e si facevano esplodere davanti a obiettivi civili a Gerusalemme o a Tel Aviv. E se quegli attentati sono cessati e la gente ha potuto ricominciare a vivere normalmente il merito è nell’odiato muro che separa Israele e territori Palestinesi e della stretta degli ingressi alle frontiere.

In definitiva, quindi, i palestinesi sono stati ancora una volta vittime dei loro governi terroristi. Quando io ero bambina, la maggior parte degli operai che costruivano i palazzi e le strade in Israele veniva dai territori palestinesi (queste sono fonti di prima mano perché mia zia è un ingegnere civile e lavorava per una delle principali aziende di costruzioni israeliane). Oggi, a causa delle limitazioni alle frontiere, la maggior parte degli operai sono romeni o filippini. Israele è uno stato ad alto tasso di immigrazione e di natalità. L’edilizia è un settore trainante e anche i palestinesi avrebbero potuto beneficiarne se non fossero governati da individui che dichiarano come obiettivo politico la distruzione dello stato d’Israele.

Il discorso potrebbe andare avanti all’infinito e poi io sono moderatamente di parte (del resto, metà della mia famiglia di origine vive in Israele e io ho un legame particolare con quella regione). E’ chiaro che quello che auspico è una soluzione pacifica, ma non credo che questa si possa alimentare con l’odio aprioristico verso uno stato democratico quale Israele. Spero tu comprenda la mia posizione.

Baci,
[#######]

Ciao [#####],
ancora grazie per la tua lettera. Confrontarmi con te è un'occasione per illustrare meglio cosa penso e mettere in discussione alcune opinioni.

Ti voglio subito rassicurare: io non provo alcun odio per Israele. Affatto. E condanno senza riserve i gruppi armati palestinesi che lanciano razzi indiscriminatamente su obiettivi civili israeliani. Con la stessa fermezza condanno l'occupazione militare israeliana dei territori palestinesi.

Sono stato due volte in Cisgiordania e ho conosciuto da vicino persone che ogni giorno lottano senza armi per affermare il loro diritto ad avere una vita normale. Persone che sfilano con delle bandiere per le strade dei loro villaggi verso il muro che per te è il simbolo della sicurezza di Israele mentre per loro è una minaccia alla sopravvivenza, perché divide la loro casa dalle terre che prima coltivavano. Intendiamoci: terre che hanno sempre coltivato fino al 2001.
Ho incontrato ragazzi di Nablus cresciuti tra incursioni dell'IDF nelle proprie case, i carri armati per strada e i fratelli maggiori morti ritratti sui muri con in braccio AK47.
Ho incontrato ex soldati israeliani che, grazie a Breaking the silence, hanno trovato il coraggio per raccontare cosa hanno fatto o visto durante il loro servizio militare.
Ho incontrato a Tel Aviv ragazzi israeliani (AATW, JAO) che ogni settimana vanno a Gerusalemme Est per protestare contro gli espropri illegittimi di case palestinesi. Sono stato davanti ad una casa palestinese di Sheikh Jarrah, occupata in maniera abusiva da una famiglia di coloni, mentre le due legittime proprietarie (due donne palestinesi di 60 anni) si rifugiavano in una tenda in giardino pur di non abbandonare il posto dove avevano vissuto tutta la vita.

Vedi. È tutto molto meno semplice di come appare. La ricostruzione mediatica è ingabbiata dalla matematica funebre. Oggi 10 morti lì, oggi un soldato ferito, ieri un razzo, l'altro ieri un bombardamento, tre giorni fa un omicidio. E noi ci facciamo annebbiare da questa ragioneria da becchini e rischiamo di vedere solo quello, di discutere se l'escalation dipende dai razzi (un articolo che contesta puntualmente le cifre fornite dall'IDF) o da chi ha cominciato la catena di morte (la ricostruzione di Robert Fisk e i report UNOCHA). Tutte queste cifre e il racconto di queste tragedie mettono in secondo piano tante altri argomenti, sui quali ho poche risposte e tante domande.

Diritto: perché Israele supporta la colonizzazione della Cisgiordania?
Ti faccio un esempio: Go North è l'ultima di decine di iniziative pubbliche che incoraggiano i coloni israeliani a stabilirsi nei territori palestinesi occupati. Attraverso donazioni in beneficenza non tassabili (principalmente dagli USA) si realizza un supporto economico per incoraggiare gli ebrei del nord America e della Gran Bretagna a stabilirsi in Palestina. Dal 1991, data formale dell'inizio dei colloqui tra le autorità palestinesi e israeliane, Israele porta avanti una politica coloniale che non rispetta il diritto internazionale, ignorando deliberatamente 39 provvedimenti del Consiglio dei Diritti Umani Onu. È evidente che questo l’espansionismo cancella nei fatti l’ipotesi di uno Stato Palestinese autonomo.

Giustizia: perché Israele non incrimina i coloni che commettono abusi?
Nel 2011 le aggressioni da parte dei coloni israeliani verso palestinesi e volontari internazionali sono aumentate del 30% (report UNOCHA). Sono stato personalmente ad At-Tuwani. È un villaggio a sud di Hebron, in una zona dove ogni anno nascono nuove colonie coma Ma'on, illegali anche per il governo israeliano. Ho parlato con dei bambini che hanno paura di andare a scuola perché nel tragitto a piedi vengono aggrediti dai coloni.

Ho parlato con i volontari di Operazione Colomba, un corpo internazionale non violento di pace che scortava i bambini a scuola per fare da deterrente alle aggressioni dei coloni. Dal 2004, dopo una serie di episodi di violenza contro i volontari internazionali e alcuni esponenti dell'UN, la Knesset Commission for Children Rights ha stabilito che i volontari non sono più autorizzati a scortare i bambini e che questi ultimi devono essere accompagnati a scuola dai soldati dell'IDF, fondamentalmente dalle stesse persone che irrompono di notte nelle loro case e arrestano pretestuosamente i loro genitori. I volontari di Operazione Colomba hanno deciso di rimanere ad At-Tuwani solo per fare da testimoni degli abusi che queste persone subiscono ogni giorno. Leggere il loro blog significa provare fitte al cuore ogni capoverso.

Ero a Roma quando ho saputo che Rushdi, un'abitante del villaggio di Nabi Saleh, è morto per colpa delle ferite riportate da una pallottola di un soldato israeliano che per un lungo tempo non ha permesso alla famiglia di raccoglierlo da terra e portarlo all'ospedale. Rushdi non era un terrorista, faceva parte del comitato del villaggio che insieme a israeliani e internazionali manifestano ogni Venerdi. Gli abitanti di Nabi Saleh lottano per la fonte d'acqua del villaggio, perché sia libera e non sequestrata dalla colonia di Halamish.

Credi che quel soldato sarà incriminato per la morte di Rushdie o che le pietre che lui aveva in mano lo scagioneranno? L'ambasciatore danese in Israele ha chiesto pubblicamente delle spiegazioni per come un attivista è stato trattato dalle forze israeliane. Tranne le solite frasi di circostanza, la colpa è stata fatta ricadere sul soldato che ha pagato con una sospensione temporanea dal servizio. 

Quanti sono i procedimenti contro i coloni accusati di aver avvelenato l'acqua del villaggio o aggredito delle persone? Molto pochi e inconcludenti. La mamma di Rachel Corrie, dopo una sentenza ridicola che derubrica l'accaduto a mero incidente, chiede ancora giustizia.

Ascolto: perché i report di Machsom Watch sono ignorati dal Governo israeliano?
Daniela Yoel è una donna, ebrea ortodossa osservante, che appartiene alla prima generazione nata in terra di Palestina da genitori immigrati. Mi ha detto: “Israele per me e quelli della mia generazione ha un significato enorme, perché come ebrea potrei non sentirmi a mio agio da nessuna parte; ma come israeliana ho una patria, e la patria è quella di cui ci si può anche vergognare". Per questo ogni mattina da 11 anni lei e le altre donne di Machsom Watch si svegliano, prendono il caffè e vanno a presidiare un check point: proprio perché “in Israele la gente ogni mattina si sveglia, prende il caffè e non vuole saperne niente di quello che succede al di là del muro”. Daniela è stata Roma da poco, ospitata dalla Casa internazionale delle donne. Ti scrivo uno stralcio del suo discorso: “Un giorno di molti anni fa venni a sapere che una donna palestinese, incinta di due maschi, era stata bloccata a un check point mentre cercava di raggiungere l’ospedale. Fermata dai soldati, fu costretta a partorire in strada, per terra. Entrambi i suoi bambini morirono, e le fu concesso di passare solo quando fu evidente che anche lei stava per morire. In quello stesso periodo anche mia nuora era incinta di due maschi. Che sono nati normalmente in un ospedale, e che oggi sono i miei nipoti. Da quel momento non ho potuto fare a meno di pensare a quale enorme differenza ci fosse tra queste due esperienze; a che tipo di trauma quella donna palestinese ha dovuto affrontare; ma soprattutto al fatto che se fossi stata presente, forse i soldati l’avrebbero lasciata passare”.

Strategia: perché Israele fa di tutto per accreditare Hamas?
Hamas è l'altra faccia di Yisrael Beiteinu o Shas. Come dici tu, ha bisogno di consenso e la povertà e l'ignoranza sono delle scorciatoie per ottenerlo.
Ma come si sta relazionando lo Stato d'Israele con Hamas? All'indomani dell'ennesima tregua di Gaza, Hamas è riconosciuto quasi come un negoziatore. Ne esce cioè rafforzato e Netanyahu è riuscito nell'intento latente di delegittimare Abu Mazen e le sue richieste all'Onu. Il Presidente egiziano Morsi infatti ha trattato con Israele e Hamas, e lo stesso ha fatto Erdogan. Come se per la comunità internazionale Hamas fosse l'unica controparte concreta di Israele. Nell'ultimo quadriennio il governo israeliano ha deliberatamente evitato di trattare con Abu Mazen, cioè non ha dimostrato la minima intenzione di portare avanti la soluzione a due stati, restituendo il 95% della Cisgiordania e Gerusalemme Est. Lo scorso novembre, mentre Abu Mazen faceva in doppio petto il suo discorso istituzionale all'Assemblea Generale dell'Onu, Netanyahu trattava con Hamas la liberazione di 1000 prigionieri, per legittimare la sua forza di ricatto e marginalizzare l'iniziativa dell'Autorità palestinese. Per continuare a presentare Israele come la parte lesa, sotto i razzi, in campagna elettorale, Netanyahu ha un disperato bisogno di Hamas.

Cittadinanza: perché a 4 milioni di palestinesi deve essere negata l'appartenenza a uno Stato?
Domani l'Assemblea Generale dell'Onu sembra orientata ad ammettere la Palestina come Stato non membro. Dopo l'ammissione all'Unesco, questo sarebbe un riconoscimento ancora più importante perché permetterebbe al futuro Stato di potersi rivolgere alla Corte Internazionale di Giustizia o alla Corte Penale Internazionale per tutelare i propri cittadini vittime di crimini di guerra. In queste ore è in atto un tentativo del Regno Unito per contrastare il diritto del neo stato palestinese di rivolgersi a queste corti. La chiamano mediazione, ma in realtà si sta trattando in maniera febbrile a New York su questo punto, perché la forma come a Oslo va bene a tutti, cioè la Palestina diventa stato non membro e tutti assieme si fanno una bella foto, ma è la sostanza che spaventa, cioè dover rendere conto di fronte a dei tribunali internazionali delle violazioni del diritto commesse in 45 anni di occupazione militare dei territori palestinesi.

Cos'è una democrazia?
Tu mi hai invitato a leggere un articolo su come vivono dei palestinesi in Siria. Ma la Siria non è una democrazia, giusto?
Ora che significa essere una democrazia? Significa solo avere dei diritti di cittadinanza e libere elezioni? Allora nel 2008 a Gaza, durante Cold Fusion, Israele ha attaccato uno stato democratico? L'Economist nel suo democracy index giudica Israele una democrazia imperfetta, in compagnia dell'Italia. Dimmi tu ora come definire uno stato che occupa dei territori dal 1967 e non garantisce in essi i diritti civili e la giustizia. Un Paese che esprime un ministro come Lieberman, che dichiara: "The vision I would like to see here is the entrenching of the Jewish and the Zionist state. I very much favor democracy, but when there is a contradiction between democratic and Jewish values, the Jewish and Zionist values are more important."

È dai tempi di Rabin che conservo la speranza di una Israele diversa. Un popolo, a lungo senza radici, che rinuncia a sradicare quelle altrui, smette di distruggere alberi, terra e storia. Le parole sentite l'altro ieri da Daniela Yoel ancora mi ronzano in testa. “Chiedo a Dio che il grido degli ebrei sia ascoltato. Gli architetti del male sono pochissimi, ma hanno bisogno di gente che non vuole sapere. Accadde così anche al mio popolo: noi non possiamo permetterci di dire ‘io non sapevo’, come fecero altri con 6 milioni di ebrei”.

Spero davvero che tu possa essere al fianco di tutti coloro che s'impegnano ogni giorno per questo cambiamento.

Raffaele

3 comments on ‘Usciamo dalla gabbia della matematica funebre’

  1. spino1970 says:

    Sciapò, Raffaele…

  2. Grandissimo contributo che contribuisce a fare più luce su una situazione, da qualunque parte la si guardi, ingarbugliata e opaca.

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