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Maledetto natale

by rainwiz. Average Reading Time: almost 3 minutes.

È davvero insolito scrivere la prefazione del libro di un autore che ha il tuo stesso nome e cognome. Forse un po' meno se questo autore è anche tuo nonno.

Raffaele Maria Ermanno Boiano. Tolte queste quattro parole in fila, sembra che io e lui non abbiamo quasi più nulla in comune. Lui, militare e poi carabiniere; io, dispensato e obiettore. Lui, profondamente religioso; io, agnostico. Lui, cresciuto tra paesini di montagna; io, nella periferia di Roma.

Ricordo un uomo corpulento che amava stare da solo e passare i pomeriggi dietro casa, prendendosi cura della vigna. Io lo guardavo dalle finestre della stanza di sopra e per me era buffo vederlo seduto su un ceppo, in silenzio.

La via di fronte casa, una delle cinque del paese, era attraversata da tutte le persone che andavano o tornavano dalla messa. Qualcuno si soffermava a parlare davanti al cancello di mio nonno, che si trovava presso un piccolo incrocio. Il muretto e la ringhiera di cinta offrivano anche la possibilità di sedersi o appoggiarsi per chiacchierare con calma.
Ricordo, come fosse oggi, mio nonno intento a passare ogni settimana una mano di nero sul muretto, come a dire: "Non potete appoggiarvi, la vernice è fresca". Per lui era insopportabile che le persone parlassero di cose futili, di pettegolezzi, proprio davanti a casa sua. Forse non sopportava le persone in genere.

Ma con me e i miei cugini era adorabile, come solo i nonni sanno essere. A quattro anni, mi fece vedere il tino della vendemmia da dentro e mi spiegò perché coltivava tutta quell'uva. Avevo cinque anni e mezzo quando mi fece assaggiare per la prima volta il suo "succo di frutta", in gran segreto da mio padre.

Eppure, nonostante la sua dolcezza verso di noi, io e i miei due cugini pensavamo che lui fosse un alieno: solo, sempre solo. Scontroso coi suoi cari, irascibile a tavola. Più nonna diceva: "non fatelo arrabbiare", più per noi era divertente fargli degli scherzi, e nei pomeriggi estivi aspettavamo che andasse a riposarsi per tendergli degli agguati in corridoio.
Il corridoio di quella casa, che ora non c'è più, mi sembrava lunghissimo. Sui lati, campeggiavano dei quadretti con i ritratti di statue fatti da un nostro antenato, forse uno zio del mio bisnonno, che aveva studiato all'inizio dell'Ottocento a Napoli. Già, non ho detto che mio nonno proveniva da una famiglia nobile e ricca. Suo padre, Domenico Maria Lorenzo Boiano, era stato però diseredato perché aveva voluto sposare la figlia di un contadino. Di tutta quella ricchezza, fatta di palazzi, biblioteche, proprietà terriere, stemmi araldici e titoli comprati, a mio nonno erano rimasti quei quattro piccoli quadri, che aveva messo in corridoio, quasi a ricordare che il passato è uno spostamento, un passaggio. Forse ha mutuato da sua madre la gioia dello spettacolo della natura, degli animali, della terra. Forse ha preso da suo padre l'idea che il denaro fosse una schiavitù.

È morto quando avevo 8 anni, in ospedale, a Roma. Mio padre e i miei zii lo hanno seppellito nel suo paese, a Prata Sannita, e ogni tanto vanno a fargli visita al cimitero. Per me, però, lui è ancora in quell'orto, dietro casa, seduto sul ceppo e con gli occhi rivolti verso l'alto.

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