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Uccidetevi a casa: comunicare è provocare?

by rainwiz. Average Reading Time: about 4 minutes.

Questo articolo di repubblica.it e una discussione promossa da Dino Amenduni mi hanno spinto a commentare la campagna Kill Yourself at Home.

Tranquilli: non vedrete questi manifesti nella metro di Londra. È una campagna immaginaria realizzata dall'agenzia Elvis Communications e se ne parla perché ha vinto il premio principale (The Big Chip) dei Chip Shop Awards 2012.

Di che premio parliamo?
"The Chip Shop Awards is about fostering and recognising creativity with no boundaries and no rules. It's an international creative awards, open to anyone with great ideas."

Un giocoso esercizio di stile. Una di quelle maglie larghe dove la creatività può esprimersi senza pensare troppo alle timeline, al budget e a convincere i clienti. Sono meravigliosi quando parlano della loro premiazione: It's not black tie, nor is it sitting round a table at a formal do, it's a party, a celebration and a chance to get together with some great creative people.

La campagna è dissacrante ed elegante al tempo stesso: lo sfondo bianco piatto e il testo all caps richiama un po' il codice visivo del white album, molto British, così come la metonimia, l'assenza di contesto, allude alla morte con uno humor macabro molto UK. Il copy è in linea con l'intento provocatorio: "end with a crackle not a splat!" o "why jump when it's easier to swallow?" sono gemme.

Penso al doppio senso Crack is wack di Keith Haring e alla sua rappresentazione delle persone marchiate dalla X dell'AIDS.

Quello che mi viene da pensare è: perché tante persone ne parlano oggi? Tutti coloro che commentano sui social network questa campagna sono interessati all'advertising creativo?

Credo di no.
Astraendo dal caso specifico, questa notizia riporta a galla una domanda che gira da più di un secolo: comunicare è provocare?

Provocare è un verbo a due facce: composto di pro, "avanti" +vocare, "chiamare", propriamente "chiamare avanti, fuori" (wikidictionary). Questa tensione è stata il filo conduttore delle avanguardie artistiche del '900 e persone come Barthes hanno dedicato una vita a questa busy intersection.

Marcel Duchamp

La fontana di Duchamp è del 1917. Cento anni dopo può essere ancora considerata un'opera provocatoria. 50 anni prima di Duchamp fu Courbet a destare scalpore con la sua Origin du Monde, oggi considerata una delle opere di spicco del Musee D'Orsay.

Qualcuno derubrica la questione della provocatorietà dell'opera d'arte a una vicenda squisitamente moderna o contemporanea. Ma non è così: che impatto avrà avuto nel '400 la rappresentazione prospettica di Paolo Uccello? Che avranno detto i Cardinali e altri prelati vedendo il volto di Maddalena Antognetti, una cortigiana, usato da Caravaggio per rappresentare la Madonna dei Pellegrini?

Caravaggio usa una puttana per raffigurare la Madonna, vestendo la madre di Cristo come una popolana col Bambino in braccio di fronte a due pellegrini con le vesti stracciate e i piedi gonfi. Govanni Baglioni, pittore e biografo di artisti italiani, nei suoi scritti racconta che appena il quadro fu posto sull’altare “ne fu fatto dai preti e da’ popolani estremo schiamazzo”.

Non possiamo sapere quante altre opere sono state per il loro tempo delle provocazioni semplicemente perché non siamo più in grado di riconoscerle. Un po' come quello che ci succede con i quadri di Leonardo, ricchi di immagini nascoste e significati reconditi che possiamo solo ipotizzare.

Ok, ma allora che significa provocare?
Provocare è sfidare, evitare l'indifferenza dell'interlocutore. È una strategia situata in un contesto per costringere lo spettatore/consumatore/attore a prendere una posizione; puoi offenderti e rispondere con sdegno o con una reazione (nel diritto penale la provocazione subita è un'attenuante) oppure puoi viverla come occasione, un invito a riconsiderare delle idee cristallizzate, uno stimolo a riflettere o agire.

"Porgi l'altra guancia" è una grande provocazione, come "Date a Cesare quel che è di Cesare". Sono idee forti, ultra innovative e dissacranti 2000 anni fa, comunicate in maniera provocatoria.

Ok, volo un po' più basso e torno sull'underground. Siamo nel 2004 e questa è una campagna brandbuster (che sfutta i codici visivi della campagna worldwide dell'iPad) affissa da sconosciuti a New York a seguito dello scandalo delle torture di Abu Ghraib.

Ricordo di aver letto letto articoli simili a quello di ieri con le solite domande: è un'azione denigratoria? È una campagna utile? È arte? Cui prodest?

Come se non fosse chiaro che provocare è un'arte: c'è chi riesce a stimolare in noi qualcosa di interessante e chi alza la voce inutilmente, usa espedienti abusati, sposta l'asticella del rappresentabile/rappresentato e finisce col rendersi ridicolo. La lista è davvero lunga.

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