iA


Scrivere una stroncatura

by rainwiz. Average Reading Time: almost 4 minutes.

Scrivere recensioni è molto difficile. Probabilmente perché valutare il lavoro degli altri è molto difficile.

Io di recensioni ne scrivo 4/5 al mese. Pochissime. Raramente le pubblico su questo blog, perché è una scrittura che davvero mi fa male, sento che non mi appartiene.

La recensione è una relazione. Spesso chi scrive sugli altri si pone ad un livello superiore, da giudice, sbilanciando questa relazione verso asimmetrie molto rischiose. Di fronte a queste difficoltà molti critici si limitano a raccontare le sinossi delle opere indicando qua e là le cose buone, in una sorta di cerchiobottismo rassicurante. Ne parlavo ad aprile con il prof Leonelli, docente di storia della critica (letteraria): il formato breve della recensione sul web può svecchiare gli stilemi della critica tradizionale o si limiterà a raccontare il plot con qualche incisa?

A tal proposito scopro ieri la recensione di Paolo D'Agostini su Promettilo, un film del 2007 di Emir Kusturica da poco distribuito in Italia. Il recensore scrive un pezzo durissimo, senza risparmiare alcun colpo: una stroncatura roboante. Mettendo da parte la mia ammirazione per Kusturica, leggo e rileggo la recensione e sento che è scritta bene. Ma davvero bene. Ritmo, aggettivazione, allargamento del campo. Paolo D'Agostini è diretto, tranchant, a volte perfido, ma mai banale: chiama in causa Loach, Fellini, Godard e Almodovar inventando nuove relazioni. Come se per distruggere davvero sia necessario saper creare.
La riporto integralmente:

—-

Inni nostalgici e tettone, Trabant di latta e bevute, ballate tzigane e caciara balcanica. Baci e abbracci, unti e alcolici. E' il repertorio quasi fisso, fino allo stereotipo, che ha reso famoso Emir Kusturica. Tutti si menano e si sparano ma nessuno si fa mai male, come nei cartoni animati. In giro è pieno di corrotti, gangster, ladri e puttanieri ma nessuno è cattivo, è tutta brava gente. L'artista non è tenuto a fare politica ma il nostro regista, nato jugoslavo, poi bosniaco e poi serbo, alterna e mischia a suo piacimento. La malizia della Storia, l'innocenza della fiaba. Kusturica è un caso di assoluta sopravvalutazione. La giovanile freschezza dirompente delle prime opere lo ha lanciato nell'agone internazionale e gli ha subito guadagnato i riconoscimenti più preziosi e prestigiosi. Poi però, una volta entrato nel pantheon – soprattutto quello francese: vincere il Festival di Cannes è come entrare in una famiglia che mai più smentirà le proprie scelte e mai ritirerà la propria protezione, è come vedersi aggiudicato un vitalizio – non è più uscito. Ha occupato (i francesi sono ghiotti dell'aggiudicarsi certi battesimi, certe "scoperte") la sua casella nell'universo cinematografico postcomunista: a Loach la favola operaia che fa sentire migliori e di sinistra, a lui la poetica della melanconia ubriacona perché sul versante est vogliono soltanto dimenticare. Continuando ad alimentare l'apprezzamento degli estimatori con i prediletti cascami felliniani. Tra i tanti sondaggi inutili che ci assediano uno in più si potrebbe fare: chi è il grande della storia del cinema che (involontariamente) ha fatto più danni, che ha seminato più guai sulla sua scia? Facile scommettere che il primo posto andrebbe conteso tra il nostro Federico e Godard. Tutto appare giustificato dall'ammirazione per il Riminese. Anche l'uomo volante, sparato da un cannone di circo (no, il circo no!), che qui attraversa tutto il film. E allora? Cos'è, che c'entra, a che serve, che significa? Niente. Del tutto gratuito. Ma certo molto, molto "poetico". A proposito di sopravvalutazione, del granchio preso su Kusturica, facciamo un paragone. Tra i nomi che a partire dagli anni Ottanta spiccano sul proscenio dell'innovazione mondiale del cinema, sono stati spesso affiancati ed equiparati quelli di Kusturica e di Almodovar. Ora, non è necessario sbavare per lo spagnolo e militare nella lobby dei suoi seguaci per vedere, a distanza di tempo, che dei due è di gran lunga il più resistente. Comunque per quel che vale e il poco che c'è da dire (sarà un caso che dal 2007 il film in questione, "Promettilo!", era rimasto in panchina?): in un bucolico ritiro fuori dal mondo vivono un nonno, un nipote e una maestra. Lo stravagante nonno ritiene che i suoi giorni siano contati e dunque spedisce il nipotino in città con tre compiti. Vendere la mucca, comprare un'icona, trovare moglie per sé. Il successivo documentario su Maradona (documentario? Il regista parlava di sé) non è stato di maggior soddisfazione. Speriamo nel prossimo "Pancho Villa" con Johnny Depp.

2 comments on ‘Scrivere una stroncatura’

  1. stetto says:

    Chissà cosa direbbe della Polveriera di Goran Paskaljevic, o soprattutto il Tempo dei Miracoli.

  2. Caro signor Rainwiz,
    scopro solo ora il tuo blog. Mi riprometto di venire a recuperare gli arretrati. Nel frattempo entro nel merito di questo articolo. C'è stato un periodo, circa sei anni fa, nel quale Uncut era una rivista straordinaria per la qualità della scrittura (e per forza, con nomi come Simon Reynolds, Ian MacDonald, Chris Roberts e Greil Marcus). Ogni mese pubblicava anche una rubrica intitolata Sacred Cow, nel quale un anonimo The Reaper (forse interpretato a turno dalle migliori penne del magazine) stroncava senza pietà dei mostri sacri di cinema e musica. Ecco dunque articoli, scritti spettacolarmente bene, nel quale s'affossavano i Clash, Toro Scatenato, Morrissey, Oliver Stone, Quarto Potere…
    Con un po' di fantasia, tutto può essere demolito. Basta trovare i punti deboli, o inventarli appoggiandosi a qualche paralogismo (con un po' di logica aristotelica, gran parte delle argomentazioni crollano a terra frantumate). Quando ci si mettono malafede e astio il compito diventa pure più semplice. Per questo evito di scrivere stroncature. Sono maledettamente facili, e rischiano in genere di rivelarsi inutili. Questo è un raro esempio di quel che succede quando mi faccio perdere dalla collera: http://www.sentireascoltare.com/recensione/605/Lexie-Mountain-Boys-Sacred-Vacation-The-Lexie-Moun.html
    Alla prossima,
    Pao.

Leave a Reply