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La rivincita di Capablanca

by rainwiz. Average Reading Time: about 2 minutes.

La rivincita di CapablancaJosé Raul Capablanca è stato lo scacchista cubano più grande di tutti i tempi.
Per Boris Spassky, un campione degli anni ’70, l’aggettivo cubano è fuorviante e va tolto, perché "Capa" è stato semplicemente lo scacchista più grande di tutti i tempi.

Io non concordo perché adoro negli scacchi un gioco più aggressivo, fatto di attacchi vigorosi che non danno tregua all’avversario. Un modo di giocare per cui oggi abbiamo forse un aggettivo: zemaniano. Aggettivo imperfetto, che però rende l’idea ad un pubblico più vasto.
Di contro Capablanca, soprattutto nella seconda parte della sua vita, è stato l’emblema degli scacchi puliti, tirati a lucido, di un gioco semplice quanto razionale, senza sbavature, senza sturm né drang: una sorta di neoplasticismo scacchistico (forse sto esagerando con le analogie…).

Le sue partite più memorabili sono infatti quelle di gioventù, con Bernstein nel 1911 e la serie con Lasker nel 1921, valevole per il titolo mondiale.

Perché allora Stassi scrive un libro su di lui?
Gesualdo Bufalino sugli scacchi ha detto: "non sono semplicemente un gioco. Sono guerra, teatro e morte. Cioè, tutt’intera, la vita". Stassi decide di raccontare scacchi e vita insieme, prendendo in prestito la mirabile biografia Capablanca: enfant prodige emigrato da cuba a NY, giovane giocatore brillante, campione del mondo, pensatore sentimentale e seduttore dai modi regali.

Nelle 64 caselle (capitoletti da treno) del libro c’è tanto amore per il personaggio principale, amore per gli scacchi e qualcosa di magico come una scrittura semplice che sa parlare in maniera diretta di cose davvero poco semplificabili: la vita, il destino, la rivalità, la passione, la solitudine, la malinconia, la speranza. Una scrittura brillante e pulita proprio come il gioco di Capablanca. Qualcosa per cui vale la pena parlare di letteratura. Si, letteratura.

Finalmente dopo tempo torno a leggere qualcosa scritto da un autore contemporaneo per il quale non ho paura ad usare questo parolone: letteratura.

Cosa sogna un pedone?, gli aveva chiesto il russo, e allora era parsa a entrambi una questione divertente. Adesso, a tanti anni di distanza, la faccenda gli suonava più misteriosa, e ostile. E per poco, in questa camera arredata con umiltà, ebbe l’impressione di aver capito. Cambiare natura. Raggiungere l’ottava traversa. Non rassegnarsi all’infelicità del proprio stato. La chiave di tutto era nell’ansia di una metamorfosi, nel sogno dei pedoni di diventare regine. (Fabio Stassi)

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