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Chess

by rainwiz. Average Reading Time: about a minute.

Una dipendenza dalla quale sono progressivamente uscito è il gioco degli scacchi.
Oramai gioco pochissimo. Anche perché per migliorare bisogna studiare e giocare veramente tanto, almeno tre ore al giorno…

Tutto cominciò quando avevo 7 anni e mi ammalai di appendicite. Una situazione molto comune: il pupo all’ospedale e il papà che tenta di distrarlo in qualche maniera. Ricordo che mi annoiavo. Tantissimo. Mio padre ebbe la brillante idea di portare una scacchiera e insegnarmi questo gioco. Mi ci buttai competamente. Non pensavo a nient’altro per tutto il giorno. Le mosse, i pezzi. In quei 10 giorni non ho fatto altro. Tornati a casa, visto che io insistevo, mi comprarono Scaccomania (Mike Fox, Richard James), un libro che ricordo con molto affetto. La lettura di questo testo magico fatto di storie, personaggi, partite, sfide interminabili, curiosità, aneddoti mi rapì. Lo lessi due volte di fila. Ricordo che immaginavo le partite impossibili, tra scacchisti di varie epoche: e se Alekine avesse incontrato Kasparov?

Cominciai a pensare di diventare un giocatore di scacchi di professione. Volevo emulare i miei eroi, essere come Capablanca, Spassky, Tal, Botvinnik. Cominciai ad assillare mio padre per giocare 2 o 3 volte al giorno. E lui stoicamente si prestava. Si creò una consuetudine familiare fatta di intimità tra noi che poi s’è persa. Nel frattempo avevo voglia di misurarmi nei ranking. Volevo che m’iscrivessero a dei tornei. Mi feci comprare un testo molto tecnico di Kasparov in cui lui faceva 10 lezioni sugli scacchi.

Non c’è un motivo, ma dopo tanti anni il libro di Kasparov è ancora sotto il comodino.
Sta bene lì. Mi ricorda tante cose di me da piccolo. Ogni tanto ne rileggo degli spezzoni e prendo le sue massime scacchistiche come metafore sulla vita.

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