Un loop chiamato violenza e repressione
by rainwiz. Average Reading Time: about 4 minutes.
Su una mailing list Stefano ha postato questo video, definendolo commovente.
Il discorso sulle forze di polizia e, in generale, sulla pubblica sicurezza mi sta davvero a cuore. È spuntato anche ieri sera durante una chiacchierata sul mondo con Mauro.
È un terreno scivoloso, reso ancora più viscido da un dibattito sclerotizzato che negli ultimi 50 anni ha messo sempre muro contro muro le forme di protesta di movimenti dichiaratamente violenti o solo "disobbedienti" a settori delle forze dell'ordine che con l'alibi dell'ordine pubblico hanno abusato del loro ruolo.
Colpiamo al cuore la questione.
Io:
– non ho mai scritto ACAB su un muro
– credo che avere un'arma in mano nel nome dello Stato sia una grande responsabilità
– non penso che fare il poliziotto sia un mestiere di merda ma non lo farei
– credo sia profondamente immorale portare molotov in una scuola per accusare poi gli occupanti
– quando vedo una volante per strada non mi sento né più sicuro né minacciato
– sento di ringraziare tutte le persone che s'impegnano quotidianamente perché ci sia giustizia
– credo che la legalità sia una condizione necessaria ma non sufficiente
– credo che non si possano insabbiare i procedimenti a carico di chi veste una divisa, perché l'illegalità del controllore è ancora più grave
– penso sia una vergogna dopo 10 anni non sapere ancora chi abbia sparato a Carlo Giuliani
– vorrei che le carriere esprimessero sempre il merito, anche quelle delle forze dell'ordine
– non ho mai capito per un militare/agente dove si situa la soglia tra dover ubbidire agli ordini gerarchici e potersi rifiutare di fare cose ritenute sbagliate
La contrapposizione strumentale, l'immaginare un noi e dei loro ricrea ad libitum le condizioni di piazza Alimonda. Quel frastuono di sirene tanto voluto da Cossiga che tanto rassicura il potere, mentre i poveracci si sbranano per strada sentendo chissà perché di appartenere a due fazioni diverse. La lista è troppo lunga. Gli scontri degli aquilani, di Acerra e in Val di Susa sono così simili agli altri che presto li dimenticheremo. Finirà tutto in un magma indistinto tra chi parla di poliziotti stronzi e chi di manifestanti violenti.
Tutto serve a non parlare del merito, ma a rinnovare costantemente il dibattito tra chi si accusa reciprocamente di repressione e/o aggressione.
Il modo per scardinare questo meccanismo è la non violenza. Totale, anche verbale.
Far capire alle persone che si mettono davanti a te con scudo e divisa che tu non sei una minaccia per loro, ma sei una minaccia per chi ha voluto quello scontro, per chi nutre interessi che hanno bisogno di quelle manganellate per buttarla in caciara. Un po' di sangue spaventa e fa prendere delle decisioni impopolari sull'onda della gravità della situazione.
Non dare insomma alcun pretesto alla repressione e non trattare con disprezzo, supponenza, chi ti sta di fronte.
Questo forse è l'unico errore che posso imputare alla manifestante della Val di Susa. Si percepisce il suo disprezzo, che aumenta la distanza con i suoi interlocutori schierati in antisommossa. Ma parliamo di una persona informata, che vive nel territorio ed esce per strada con l'idea di difendere pacificamente un suo diritto, la qualità della vita, e trova le forze dell'ordine a presidiare un cantiere che nessun amministrazione locale vuole. Possiamo biasimarla perché nel suo discorso improvvisato non cita le fonti delle sue informazioni e si pone in modalità supponente?
Non violenza. Facile a dirsi. Più difficile quando sei per strada e ti si parano davanti.
Non ho mai preso una manganellata. Non ho mai cercato lo scontro.
Ad aprile a Bil'in mi hanno lanciato lacrimogeni addosso e ho sentito a 20 metri di distanza i proiettili di gomma.
Non ricordo quello che ho pensato mentre non respiravo. Non posso dire cosa avrei fatto se qualche soldato si fosse staccato dal cordone e si fosse mosso verso di me.
La non violenza non è affatto innata, non è la nostra predisposizione. Dovremmo imparare a farci trascinare per i capelli e arrestare senza fare alcun movimento che possa essere equivocato come minaccia. L'ho visto nei video di Nabi Saleh e mi ha davvero colpito.
Come mi ha colpito, negativamente, questo video di novembre 2010 girato a Brescia
Questo signore, Emanuele Ricifari, è ancora vice questore, cioè in un ruolo di comando.
Qualcuno sa spiegarmi perché?
http://www.bresciaoggi.it/stories/Cronaca/265261__vigilanza_e_polizia_sinergia_anti-crimine/
L'altro ieri ho incontrato Ali Rashid. Parlando dei comitati non violenti si è quasi commosso e poi ha fatto un sorriso amaro.
"Se sei con me, perché ritieni sia necessario lottare per far finire questa ingiustizia, sei un fratello. Marciamo insieme e parliamone. Mentre siamo seduti pacificamente sulla terra che occupano dal '67, voglio che tu mi dica tutto quello che pensi sia giusto per trasformare e rendere più efficace il nostro agire. Ma dal tuo divano no, non ne hai quasi il diritto. Puoi dire quello che pensi, ma devi avere rispetto di tutte le forme di lotta che abbiamo intrapreso. Di tutte."
Sono parole dure, che non mi trovano d'accordo. Ma su un punto indubbiamente ha ragione lui: io sto scrivendo dalla mia scrivania. E da questa prospettiva è tutto molto più semplice.
non è stato Spaccarotella a sparare a Giuliani?? e si è saputo subito tra l'altro … o mi confondo io …
anch'io mi trovo nella tua stessa posizione Raffaele, condivido le tue stesse idee, e c'è un motivo per cui non mi alzo dal divano: non mi alzo finché un movimento di protesta non esprime posizioni inequivocabili (ovviamente contararie) verso chi contempla azioni paramilitari nel proprio agire.
Un altro punto fermo di una strategia d'azione dev'essere il dialogo con le forze dell'ordine, nella maggior parte dei casi si ha un atteggiamento ostile a prescindere (forte dell'odio accumulato in questi anni di scontri), il che continua a riprodurre il loop, è semplicemente stupido e deleterio.
Occhio per occhio… e il mondo diventa cieco (MG)