Inception, ovvero la summa di Nolan
by rainwiz. Average Reading Time: about 5 minutes.
Contesto: ho visto Inception (2010) di Cristopher Nolan
Domenica all'alba, mentre aspettavo l'aereo che mi avrebbe riportato a Roma, fantasticavo su come potesse essere Inception.
Cercavo di immaginare i personaggi, le storie, il taglio della regia di Nolan. È da gennaio che seguo i blog che riportano gli spoiler sul film. E poi lo ammetto: ammiro Nolan, anzi ho un debole per il suo cinema… anzi, sono uno di quei maledetti nerd/fan che commentano i suoi film, ci scrivono sopra e passano le serate a dibattere con gli amici su aspetti microscopici delle sequenze di The dark knight o sulle pause dei monologhi di Memento.
Tutta questa curiosità carica di aspettative non farebbe bene a nessun film: partire così alti è "quasi" sempre un boomerang.
Quasi però, perché Inception non mi ha deluso affatto. Anzi. È passata quasi una settimana e vi voglio spiegare perché sono convinto che sia un gran film.
— PS: Il seguito del post è pieno di SPOILER e altre considerazioni che rovinerebbero la prima visione del film.
Partiamo dalla scintilla del film di Nolan, che è tanto semplice quando geniale: il sogno collettivo. Una delle attività che reputiamo più individuali/personali come il sogno diventa cooperativa. Sognare quindi insieme, con tutte le implicazioni che si riflettono sui concetti di immaginario (non me ne voglia Massimo che ha sempre visto con diffidenza questa reificazione) e di inconscio collettivo (l'innatismo Junghiano). Come tutte le attività in cui si collabora, non è semplice definire le frontiere del lavoro individuale: chi guida il sogno? chi entra in un sogno cosa porta di sé e come ne determina l'evoluzione?
Di fronte a queste domande Nolan risponde a modo suo, aggiungendo un'ulteriore traccia: il sogno collettivo è uno spazio comune dove acquisire o impiantare nuove idee. Prendere coscienza significa riorganizzare pensieri, ricombinarli in una forma nuova (il lavoro dell'architetto). Decostruire e riassemblare il contesto (brainframe!?) è l'euristica per indagare quello che siamo in profondità, quello che teniamo nascosto nelle metafore della cassaforte o della stanza blindata. La strada maestra verso l'inconscio, cioè quell'insieme di pensieri, contenuti, attitudini, processi che non affiorano alla coscienza.
L'inconscio è il luogo freudiano del rimosso, il pozzo (straordinaria metafora di ringu) nel quale c'è tutto quello di cui non siamo consapevoli ma che influenza la nostra visione del mondo. Nel primo modello freudiano di mente c'è un ulteriore strato che negozia attraverso meccanismi di censura il passaggio bidirezionale di ricordi/emozioni/pensieri tra conscio e inconscio: il subconscio ("preconscio" per Freud). Questo limbo intermedio ospiterebbe (il condizionale è d'obbligo) tutti i contenuti dell'inconscio latente, cioè quelle entità di cui non siamo consapevoli ma che, in un determinato momento, riescono a risalire autonomamente verso la coscienza: le madeleine di Proust. Ed è proprio il subconscio, in quanto cerniera verso la coscienza, che ci fa battere il cuore o scattare mentre sogniamo; con lo stesso meccanismo di presenza latente il subconscio mette costantemente in dubbio quello che ci circonda o effettua cortocircuiti tra situazioni come nel déjà vu, in cui attraversiamo per un istante lo spazio che separa memoria e percezione del reale.
Sognare non è quindi uscire da un mondo quanto passare in un altro. L'attività del sogno è una soglia tra universi paralleli, che, come in un gioco di specchi (usato da Nolan stesso), riflette il reale da prospettive diverse che si richiamano senza assomigliarsi. La dimensione del sogno, attraverso Cobb, non è una tecnologia inscenata solo per prendere/offrire le idee ma un vero piano esistenziale parallelo: è l'unico luogo vero, dove essere se stessi e vivere l'amore, gli affetti e le emozioni. Non è una fuga dal reale, ma un reale di ordine superiore, quello in cui, nel susseguirsi delle inversioni di senso, ci "svegliamo" perché prendiamo coscienza di quello che siamo.
Tutto questo è il discorso che Inception prova ad affrontare in due ore e mezza.
Tutto mirabilmente compresso nel titolo, che rimanda alla prima scena e introduce il tema dell'autopercezione: in-(per)ception.
In questa settimana sul film è stato scritto di tutto. Tecnicamente è ineccepibile. Anche i detrattori ne hanno apprezzato la realizzazione. Ma una lettura formale verso una dittatura dell'estetica (espressione di Raffaele) è assolutamente riduttiva. Come sbaglia clamorosamente chi dice che non c'è il sogno: non c'è quello che convenzionalmente reputiamo onirico, perché c'è un discorso diverso sul sogno, e se vogliamo, più profondo.
Mauro ha definito il film come ipertrofico e faticoso, verboso con l'ansia di mostrare troppo. Forse il terzo e il quarto rullo reggono sulle spalle troppe spiegazioni. Lo capisco, può non piacere, ma è uno stratagemma per prendere lo spettatore per mano attraverso il simulacro della giovane architetta. Tutto sommato, un peccato trascurabilissimo. Sono assolutamente d'accordo con Roberto quando dice che Nolan si porta a casa un film difficile e lo fa alla grande. Inception è il suo capolavoro, nel senso artigianale del termine: una prova d'abilità rappresentativa di tutta l'opera di Nolan. Magari meno avanguardistico di altri, meno rigoroso, più didascalico, ma in grado di riassumere tutto il suo cinema in un singolo frammento. Come ha sentenziato splendidamente Alberto Gambato, Inception è "magnificamente superfluo, nel senso che non aggiunge nulla di davvero nuovo ai temi cari a Nolan."
Per rendersene conto basta vedere l'ultima scena di Memento:
Sempre Alberto, chattando, m'ha regalato questa gemma: "Nolan ha un'idea di mondo che ormai supera l'idea di cinema. Costruisce mondi, ormai, e sono mondi tremendamente abitabili mano a mano che il progresso tecnologico del pianeta e dell'uomo aumenta. Ecco il senso della citazione smaccata di 2001 odissea nello spazio".
P.S. Chi si chiede perché il film taglia nel finale sulla trottola che gira ancora, non ha davvero capito…
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